L’Aquila. Tragedia di Rigopiano: sono state confermate le condanne di primo grado
(wn24)-L’Aquila- Solo dopo cinque ore di Camera di Consiglio, la Corte d’Appello dell’Aquila ha emesso la sentenza del processo per la tragedia di Rigopiano: condannato a 8 anni l’ex prefetto Provolo e confermate le condanne del primo grado.
Il disastro risale al 18 gennaio 2017 quando, alle 16.49, una valanga travolse e distrusse il lussuoso resort alle pendici del versante pescarese del Gran Sasso, provocando la morte di 29 persone.
Non ci sono state repliche dalla pubblica accusa, dalla parte civile e tanto meno dagli avvocati dei 30 imputati per i quali la Procura di Pescara ha fatto ricorso: da qui la decisione da parte del collegio dei giudici presieduto da Aldo Manfredi di ritirarsi subito in Camera di Consiglio.
Poco prima della sentenza d’appello di oggi Alessio Feniello, padre di Stefano, il giovane di 28 anni morto sotto le macerie dell’hotel, aveva dichiarato:
In primo grado furono condannati in cinque: il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta (due anni e otto mesi); i dirigenti della Provincia di Pescara Paolo D’Incecco e Mauro Di Blasio (tre anni e quattro mesi ciascuno); sei mesi ciascuno per l’ex gestore Bruno Di Tommaso e il geometra Giuseppe Gatto.
In quella occasione l’accusa di disastro colposo cadde per molti dei principali imputati, tra i quali l’ex Prefetto Francesco Provolo, per il quale il pool della procura coordinato dal procuratore capo Giuseppe Bellelli e composto dai sostituti procuratori Anna Benigni e Andrea Papalia aveva chiesto 12 anni; l’ex presidente della Provincia di Pescara Antonio Di Marco, per il quale erano stati chiesti sei anni.
Assolti anche tecnici e dirigenti regionali in uno scenario, secondo l’articolato impianto accusatorio, di diffuse responsabilità su vari fronti, dai permessi di costruzione dell’albergo, alla gestione dell’emergenza di quei giorni drammatici sul fronte delle condizioni atmosferiche, alla gestione dei soccorsi, fino ad una presunta vicenda di depistaggio in merito alla telefonata di Gabriele D’Angelo, dipendente dell’albergo e una delle vittime, che aveva allertato la Prefettura sulla situazione di pericolo, fatta sparire.
Altra protagonista del processo è la Carta Localizzazione Pericolo Valanghe (Clpv), mai attivata dalla Regione Abruzzo, tirata in ballo dai legali del sindaco di Farindola per dimostrare che in presenza di quella carta avrebbe avuto strumenti per effettuare interventi preventivi; nel mezzo una lunga serie di perizie che non hanno portato a un quadro di totale chiarezza. In Corte d’Appello, i due pm di Pescara, Anna
Benigni e Andrea Papalia hanno spiegato nei minimi dettagli le ragioni del loro ricorso, ribadendo in maniera approfondita le responsabilità degli imputati, sulla loro scia gli avvocati di parte civile, mentre la gran parte degli avvocati difensori ha attinto alle motivazioni della sentenza di primo grado e, in alcuni casi, ponendo dubbi perfino sulle legittimità dei ricorsi stessi.